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Intervista a Elisa Ossino

Architetto e progettista poliedrica, è oggi tra i nomi più autorevoli nel campo dell’interior design.
Ha fondato Elisa Ossino Studio ed è co-fondatrice del brand H+O.

“Mi piace che lo spazio non rappresenti troppo il reale. L’arte è un’ispirazione in questo senso, quando progetto uno spazio tendo sempre all’astrazione, mi piace che sia onirico. Cerco di fare in modo che gli elementi lo compongano come un quadro. Lo spazio deve essere la traduzione di un momento, trasmettere una sensazione.”

Architetto, stylist e interior designer, il tuo nome oggi è molto noto nel panorama del design, qual è stato il tuo primo lavoro?
Il mio primo lavoro è stato parecchi anni fa alla Facoltà di Architettura del Politecnico, dopo la laurea, lavoravo al laboratorio multimediale e mi occupavo della ricerca di nuovi linguaggi con gli studenti. Poi un po’ per caso ho incontrato Collage Studio allora Responsabile di D Casa ed ho iniziato a collaborare con loro.

Com’è stato l’incontro con Amini? Dallo showroom alla collezione Teorema come si è evoluta la vostra collaborazione?
La mia collaborazione con Amini è iniziata dalla progettazione dello showroom. Ferid aveva visto da poco uno spazio in San Babila e se ne era innamorato immediatamente. Lo showroom in origine era molto diverso da come lo si vede oggi, era connotato da pilastri a base quadrata che lo facevano somigliare ad un garage ma aveva un’energia molto positiva. L’intervento forte che abbiamo fatto è stato proprio quello di disegnare delle quinte divisorie, dei setti con dei volumi arrotondati molto plastici. Abbiamo lavorato tantissimo sulla ricerca della materia creando una sorta di contenitore monocromatico in cui le superfici delle pareti restituissero un effetto di vibrazione della luce, arrotondando gli angoli della stanza per aumentare percettivamente lo spazio. In seguito ho mostrato a Ferid dei disegni per tappeti geometrici che ha apprezzato molto. Dopo una lunghissima ricerca sul colore e sui materiali è nata Teorema.

Nell’epoca in cui viviamo, allestimento e disallestimento sono due parole molto frequenti, tutto è molto veloce e cambia di aspetto repentinamente. Cosa significa confrontarsi con l’oggetto tappeto, un elemento che rivendica la sua longevità e permanenza, il suo essere tramandabile?
Quando progetto penso sempre alla durata; una qualità fondamentale che un oggetto deve avere. In questo caso il tappeto ha una biografia bellissima anche e soprattutto nella tradizione di altri Paesi dove ha una storia sociale che lo lega molto alle persone: i tappeti tramandavano simboli di famiglia, venivano dati in dote, erano e sono ancora terreno e luogo di spiritualità…
Non progetto mai pensando alle tendenze, un oggetto per me deve resistere al tempo, come l’arte.

“Mi ispiro molto all’arte, nei miei interni gli elementi compongono lo spazio come un quadro. Il tappeto ha un ruolo molto importante, crea una campitura e dà identità.”

Ossino, TEOREMA CIRCLES, dettaglio

Geometrie dinamiche e sovrapposizioni cromatiche, atmosfere metafisiche e un’attenzione particolare per la luce e il suo effetto sui materiali. Il tuo modo di comporre si può dire molto vicino al mondo dell’arte e della scenografia. Quanti e quali ruoli può avere un tappeto contemporaneo nel layout di un interno disegnato da Elisa Ossino?
Se penso agli interni che progetterei e ho progettato il ruolo del tappeto è molto importante. I miei interni sono estremamente vuoti ma caratterizzati da segni molto forti. Da questo punto di vista il tappeto è un oggetto che crea una campitura e si presta moltissimo a disegnare uno spazio e a dare identità. Non escludo che il tappeto potrebbe diventare anche un elemento in qualche modo più tridimensionale, che possa avere nuove funzioni come ad esempio essere utilizzato per dividere degli spazi in un gioco di sovrapposizioni di superfici geometriche che si muovono su diversi piani tridimensionali.

Intendendo lo spazio come luogo da vivere, spazio di condivisione, è molto importante ciò che esprime culturalmente. La cultura trasmette e fa comprendere il “sentimento del tempo”. Nei tuoi lavori c’è una grande attenzione alla scelta di oggetti che disegnano a loro volta un paesaggio di esperienze autentiche e individuali, che messaggi manda questo paesaggio “verosimile” e “bello”?
Una delle cose fondamentali per me è lavorare sempre su un contenuto, su un messaggio. Il primo step, sia che si disegni una scenografia di un interno sia che si pensi ad un oggetto, è lo studio del territorio, dei materiali legati ad esso e alla storia personale del committente. Il materiale è portatore del messaggio e diventa elemento costruttivo del progetto e dello spazio. Il mio lavoro però è sempre molto personale. Mi piace che lo spazio non rappresenti troppo il reale. L’arte è un’ispirazione in questo senso, quando progetto uno spazio lo porto ad un’astrazione, mi piace che sia sospeso ed onirico. Cerco di fare in modo che gli elementi lo compongano come un quadro. Lo spazio deve essere la traduzione di un momento, trasmettere una sensazione.

Come si applica questa teoria invece al progetto di una casa privata?
Cercando in qualche modo di nascondere il più possibile tutte le parti legate alle funzioni quindi facendo sparire anche gli oggetti contenitivi come gli armadi, lavorando sul segno e con le texture dei materiali. Anche se non è propriamente una casa, lo showroom di Amini è un esempio di questo modo di “dissimulare”. L’elemento parete qui diventa continuo per trasmettere una sensazione di circolarità e spiritualità, intervallato da segni verticali, gole in ferro nero, che servono ad aprire le ante nascoste. In questo spazio spirituale e continuo i tappeti diventano dei quadri e lo showroom una galleria. La sfida è essere capaci ogni volta di inserire dei messaggi, dei contenuti, all’interno di un lavoro, io cerco di farlo sempre in qualunque cosa progetto.

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