Today’s Walls, Rodolfo Dordoni
Quando il mondo si ferma, la mente vola. Intervistato tra le mura della sua casa milanese, Rodolfo Dordoni ci parla di lavoro, di oggetti, di famiglia, di progetti e di scoperte.
Che legame hai con gli oggetti?
L’oggetto di per sé mi piace, è una cosa che indipendentemente da che cos’è, ha un forte potere di attrazione su di me. Ma non ne rimango legato a lungo, non mi affeziono agli oggetti, l’unico “oggetto” che così si può chiamare, del quale difficilmente mi separo una volta che ne ho avuto uno sono le opere d’arte e i libri, sono le uniche cose che non abbandono.
Sei un grande fan del disegno a mano libera
Credo che disegnare a mano crei un rapporto tra mano – disegno – e cervello che mette il cervello nella condizione di elaborare una sorta di tridimensionalizzazione dell’oggetto, interiormente, io quando disegno mi rendo conto che l’oggetto me lo sto disegnando nella testa, quindi lo analizzo, lo capisco, lo approfondisco e poi in qualche modo lo visualizzo con uno schizzo piuttosto che con un disegno.
Cosa ti manca di più dello spazio pubblico?
Noi italiani siamo un popolo di sguardi, questa cosa è un pò quella che mi manca, cioè l’idea di poter guardare, essere guardato, non per una questione di esibizionismo o vanità, però mi piace quando incrocio lo sguardo di una persona, perché in qualche modo mette in moto tutta una serie di ragionamenti che compongono la mia quotidianità.
“…la libreria è in realtà la visualizzazione di un mio modo di essere, della mia passione, della mia abitudine…”
Che cos’è l’”aperto”? La casa può essere un luogo aperto?
Io sono cresciuto in una famiglia in cui il senso dell’ospitalità, della convivialità, era la quotidianità, era fondamentale. Avevamo sempre amici, amici dei miei genitori, amici nostri, miei e di mia sorella, per casa, avevamo sempre amici invitati alla tavola, perché era un momento molto importante per noi, mio padre lavorava quindi chiaro che lo si vedeva esclusivamente quando si cenava o si pranzava, si cenava più che altro, però quei momenti non sono mai stati momenti esclusivi della famiglia, sono sempre stati momenti aperti a chi in qualche modo consideravamo la famiglia più estesa, e questa cosa qua è sempre stata nel mio modo di vivere ed è stato, – i miei non ci sono più, ma anche mia sorella ha lo stesso identico atteggiamento mio -, quindi è una cosa che ci è rimasta dall’educazione, dalla nostra crescita, diciamo. Non è la casa come confine, come contenitore, a diventare aperta o chiusa, è il modo di vivere che rende una casa aperta o chiusa, io mi lego più a persone che vivono questo senso di apertura come lo vivo io.
Quale elemento domestico la rappresenta maggiormente?
La libreria. La libreria è in realtà la visualizzazione di un mio modo di essere, della mia passione, della mia abitudine, è il surrogato di quello che facevo normalmente durante la mia vita quando non ero segregato in casa, ossia visitare musei, visitare gallerie, andare ad osservare l’arte nei luoghi ad essa deputati. Questa libreria è una raccolta di libri d’arte, di cataloghi di musei, una raccolta di monografie di artisti di vari tempi, di epoche diverse, quello è in realtà, come dire, il racconto di come vivevo prima, tradotto in questa segregazione la sua immagine.
Ha scoperto qualcosa di nuovo durante il lockdown?
Ho scoperto una parte diversa di me che è quella della confusione ed è un caso che, in qualche modo, né mi allarma né mi crea insicurezza. Mi ci ritrovo, è un caos confortevole.